martedì 8 gennaio 2019

Tracce



- Il giorno più bello secondo me è stato il 6 di ottobre del 2018.
- Sì? E perché?
- Perché mi hai preso per mano, e non lo avevi mai fatto.
- Davvero?

Fingeva di non ricordare, sorrideva.

- Sì, davvero, mentre parlavamo con Marta, eravamo solo io, te e lei. Mi hai preso la mano e io non ho avuto la forza di guardarti, per paura che ti accorgessi di tutto quello che non avevo avuto il coraggio di dirti. Non ho avuto il coraggio. E’ stato questo, il motivo?
- Il motivo di che? Poi non lo so. Non me lo ricordo.
- E allora ti ricorderai del cane, te lo ricordi il cane, quel giorno?
- No, quale cane?
- Billy, si chiamava. Era un cucciolo che si divertiva a giocare azzannandomi le caviglie. Me le ha fatte a pezzi, ero pieno di buchi, ti ricordi?

Rise di gusto. Era bellissima, Occhi di bosco. Disse solo: e tu? Che hai fatto? Lo sapeva benissimo, ma la divertiva sempre sentirmelo raccontare.

- Nulla, non riuscivo a mandarlo via, mi inseguiva tra le pietre, in mezzo a tutte quelle rovine, nell'erba alta e ogni tre passi mi mordeva. Tu mi dicevi di picchiarlo, ma io non sapevo farlo. Poi se l’è presa con le capre, vicino al pozzo sacro, e ci ha lasciato in pace. C’era profumo d’erba in fiore sull’altipiano della Giara, un profumo buonissimo che io non riuscivo ad identificare, a capire da quale pianta provenisse. Me lo avevi chiesto, ma non ho saputo risponderti. Ero troppo impegnato a guardare te, che camminavi contro il cielo rosso del tramonto mentre si faceva buio, intorno. Ti ho mostrato l'elicriso, il frutto del melone asinino che era acerbo e non sono riuscito a fare scoppiare. C’è stato un momento preciso in cui ti avrei voluta baciare, mentre sedevamo tra i ruderi della capanna delle riunioni, ma sei andata via. Avrei voluto baciarti, ma tu camminavi veloce, sei sempre stata più veloce. Io arrancavo dieci metri indietro, più lento, il cane mi intralciava il passo, il fiato inciampava in gola, il cuore invece nel petto. In quasi tutte le foto che ho sei ritratta di spalle, cammini davanti a me. Mi piaceva guardarti, senza che te ne potessi accorgere. Come faccio ora, in fondo.
- Avresti dovuto raggiungermi. Forse ti avrei baciato anch’io.
- E la bambina, la ricordi la bambina?
- No quale bambina?
- Ma possibile che non ti ricordi proprio niente?
- No, aiutami.
- Dunque avevamo appena visitato quel nuraghe bellissimo, Piscu, si chiama: pietre bianche contro un cielo di un azzurro impossibile, quella luce da prateria sudamericana che hanno solo certe giornate d' ottobre, in Marmilla. Nella casa di un paesino, da una amica tua, c’era una bambina piccolissima, camminava da poco: prima di uscire a giocare in giardino si è voltata e mi ha teso la mano come per dire: vieni, andiamo? L’avevo appena conosciuta e già mi prendeva per mano. Come avresti fatto tu qualche ora dopo, ma ancora non potevo saperlo. Due mani così belle in un giorno solo. Non sarebbe successo più, in seguito, ma neppure quello, potevo sapere, allora.
- E quindi?
- Ecco quando la bambina mi ha dato la mano tu mi hai chiesto: hai intenzione di far innamorare qualcun altro, oggi?

Io ancora ci penso a questa cosa. Mi pare di vederti, lo sai? Perché ti ho risposto soltanto: non lo so. Invece avrei dovuto dirti: sì, te. Ma lo sai com’è, quando tutto capita all’improvviso, io non ho mai le parole pronte, mai. Non le ho mai avute, e con te neppure. Non me lo perdono.

- Ma è successo tutto lo stesso giorno?
- Sì lo stesso giorno. La gita che non avevamo programmato, un gregge enorme che attraversa la strada, noi due che ridiamo, il viaggio senza nessuna meta, la bambina, il cane, il villaggio nuragico tutto per noi, sul far della sera, il custode che ci lascia passare gratis e poi ci guarda andar via seguendoci con quegli occhi tristi, gialli dal troppo alcool, il viaggio di rientro nel buio della tua auto, la luce blu dell’autoradio, la cena a casa, improvvista, io che ti regalo una maglia e un ciondolo che ti avevo comprato quella mattina stessa, senza neppure sapere che ti avrei vista, la tua mano nella mia, improvvisa. Mi era capitato altre volte, di pensarti un secondo prima che mi scrivessi e trovare la conferma nello squillo del telefono che si illuminava di un tuo messaggio. Sapevo che c’eri prima che ci fossi davvero. Mi è capitato altre volte, in seguito, di saperti vicina prima ancora di vederti. Ma non c’eri più, eri già irraggiungibile.
- E poi?
- E poi nulla, è svanito tutto senza lasciare traccia. Sei andata via. E ancora mi chiedo perché.
- Non è vero, se ne parli ancora una traccia c’è. Nemmeno le cicatrici, ti sono restate?
- Che cicatrici?
- Quelle del cane. Dei morsi di Billy.
- No, le ferite hanno fatto delle piccole croste che dopo qualche giorno si sono staccate. Sono rimasti dei segni di pelle nuova, appena più chiara, ma dopo un po’ sono andati via anche quelli. Senza lasciare traccia.

A notte fonda, il vecchio decide di andare a dormire. Si alza dal tavolo tondo sul quale, quarant'anni prima, mentre lui parlava distratto, lei gli aveva tenuto la mano. Prima di avviarsi stancamente verso la camera da letto, rimette in tasca un'immagine che avevano scattato quel giorno: un piccolo nuraghe si stagliava contro un cielo blu. Devo smetterla di parlare da solo, pensa.












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