mercoledì 23 gennaio 2019

Il cassetto

-Come un cane - pensa, come un cane che scava la terra.
Inginocchiato sul pavimento, chino sul cassetto più basso dell’armadietto, rovista tra gli oggetti accumulati nel corso del tempo. Cerca.
-Eppure dev’essere qui, da qualche parte- mormora.
Trova una piccola lampada da lettura, a batteria, di quelle pensate per leggere al buio senza disturbare nessuno. Prova ad accenderla diverse volte, non funziona più, deve essersi scaricata o l'interruttore guastato. Alla fine si arrende, la mette via. Le prime volte si erano visti in spiaggia, di notte. La raggiungeva a qualsiasi ora glielo chiedesse, lei stava lì da prima, in compagnia di un’amica. A lui non importava che non fossero soli. Voleva solo starle vicino e ascoltare quella voce nuova confondersi con lo sciabordio dell’acqua sulla battigia. Una carezza. Alle volte la luna rischiarava il buio di una luce tenue, pallida, come quella della lampada che aveva appena cercato di accendere. Nella penombra, di sottecchi, la guardava: i tratti del suo volto distinguibili appena, un bozzetto a matita sul foglio bianco della sabbia.
Un fascio di lettere, legate strette con un filo di lana viola, grossa. Durante primi tempi del suo soggiorno in quel luogo ne riceveva una a settimana. Rispondeva sempre, perchè scrivere gli dava il tempo di formulare le frasi nel modo giusto, gli consentiva di rispondere in modo sensato alla domande che gli venivano poste e di farne a sua volta di appropriate, non come quando parlava con le persone e non era mai preparato alle cose corrette da dire, che gli venivano in mente sempre tardi, a volte giorni, altre settimane dopo, quando ormai non servivano. - Le cose giuste, le risposte giuste -si ripeteva- mi sono venute in mente quando già non c'eri più -. Quando tutto capita all'improvviso io non ho mai le parole pronte, pensava, di sè. - Non sei nemmeno qui - sussurra, mettendo da parte quei fogli ingialliti.
Della carta da regalo, rossa, un nastro dorato, sfilacciato e ingarbugliato. Una volta si erano incontrati in un bar, a dicembre, il penultimo giorno dell’anno, quando tutto tra loro era cambiato e lui lo aveva capito, anche se ancora non ci si era abituato. Voleva darle delle cose che aveva comprato per lei durante un viaggio, era arrivato in anticipo ma dentro il locale il caldo era insopportabile e poi gli dispiaceva farsi trovare già seduto, così l'aveva aspettata fuori. Era sbucata dall’angolo della via, aveva sorriso e lui aveva pensato che non ci fosse, al mondo, niente di più bello. Anche lei aveva un regalo da consegnargli, un libro, e lui oltre quello aveva conservato la carta che lo conteneva, rossa, e il nastro, dorato: gli stessi che ora si rigirava tra le mani mentre gli ritornava alla mente con quanta accuratezza fosse stato confezionato quel dono, e quanto invece fossero maldestri i pacchetti che lui aveva preparato per lei. Ricordava di come si tormentasse le mani, che non riusciva tenere ferme, e come queste torturassero i capelli, raccogliendoli dietro la nuca per portarli subito dopo sul lato destro del collo, a formare una piccola coda. Aveva pensato che fosse nervosa, d'altronde lo era anche lui, molto, e poi che fosse bellissima, ancora una volta, e anche: - ho attraversato i continenti per rendermi conto che l’unica cosa che importa è sempre stata qui, ad un passo -. Ricordava che aveva delle cose da chiederle, domande importanti da fare -perché si fosse allontanata da lui, per esempio-, ma che tutta la meraviglia che provava nel guardarla gli aveva tappato la bocca. Ricordava il tempo passato in fretta, il momento di andare via, il saluto veloce, la ricordava girare di nuovo l’angolo della via e scomparire alla vista: il passo inconfondibile, le spalle minute, i capelli sulla schiena, il cappotto blu.
-Dove sei?- pensa, mentre continua a cercare nel cassetto. Dove sei?  
I taccuini su cui aveva tenuto una sorta di diario, durante il viaggio in Nepal. Ricordava quanto gli fosse mancata durante quel mese solitario, di come fosse deciso a confessarle tutto una volta rientrato, di quanto pensarla lo avesse salvato dalla disperazione nei momenti più duri, di solitudine assoluta, di fatica, di scoramento, di freddo: quando rientro ci sei tu, pensava, per trovare la forza di un altro passo nel gelo. Ce l’aveva fatta; più che raggiungere la cima che aveva programmato di scalare era andato incontro a lei, immaginando il momento in cui l’avrebbe rivista. Legge due frasi che si era appuntato: - domani ti bacio-, trova scritto, una frase che poi era diventata un racconto. E poi una citazione tratta da un romanzo pessimo, ma che mai come in quel momento gli era sembrata calzante: “Hai presente quando, dopo una delusione, costruisci un muro tra il tuo cuore e il resto del mondo? Quel muro può durare anni, e diventare sempre più spesso...Ecco, l’amore è il momento esatto in cui senti crac”. Quel crac lo aveva avvertito distintamente poco prima di partire, ricordava ancora il giorno, il 6 di ottobre del 2018 quando una sera, mentre cenavano con Marta, lei gli aveva preso la mano, tenendola stretta. Se fossero stati soli l’avrebbe baciata, così avrebbe pensato per tutti gli anni a seguire. Poi era partito e durante il viaggio si era accorto che  il muro che aveva eretto era stato spazzato via. Quando era rientrato l’aveva cercata ma lei non c’era più.
Mette via i block notes. Continua a rovistare il cassetto, il pavimento è ingombro di oggetti, la voce troppo alta è un mantra che ripete all’infinito: - non ci sei, non ci sei, non ci sei-.
-Che fai ancora sveglio Ale? Dai, che è tardi, è ora di andare a dormire-.

La voce del giovane lo scuote. Solleva il capo, gli rivolge uno sguardo implorante.
-Non la trovo, Guido, mi aiuti?-
-Ma lì non c’è Ale, lo sai. Tutti i giorni con ‘sta storia. Dai domattina riproviamo-.
-Ma io ho delle cose da chiederle Guido, lo sai, no?. Guarda me le sono pure scritte, così non me le scordo. Mi dimentico tutto-.
- E che non me lo ricordo? Me lo ripeti ogni giorno. Dai domani ti do una mano, però ora è tardi, svegli tutti con ‘sto casino-.
-Va bene, grazie. Me te lo ricordi come si chiama? Sennò come fai a trovarla?
- Sì, Occhi di bosco, si chiama.
- Bravo, e perchè?
-Perchè ha gli occhi…-
- ...del verde profondo dell’ombra dei boschi e delle foglie di quercia nelle sere d’estate - finisce il vecchio. -Non gliel’ ho mai detto, Guido. Neppure che l’amo, non ho fatto in tempo-.
-Lo so, domani continuiamo a cercare, va bene? Chiudi quel cassetto, ora.
-Va bene Guido, buonanotte.
-Buona notte, Ale.
Il vecchio a fatica si rimette in piedi, scivola sotto le coperte tirandole fin sotto il mento. Nel buio cerca il suo profilo nella penombra, come faceva sulla spiaggia, molto tempo prima di adesso. Li chiude sperando di incontrarla, almeno nel sonno. -Ho troppe cose da dirti-, è l’ultimo pensiero che fa.
Guido spegne le luci dell’andito, raggiunge i colleghi per un caffè.
Nel reparto piomba il silenzio.








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