Accosta la barca al vecchio pontile. Si attarda sulle cime
d’ormeggio, prima a poppa, poi a prua, assicurando l'imbarcazione al molo con
molti più nodi di quanti ne sarebbero necessari.
Ha bisogno di tempo. Deve, necessariamente, prendere tempo. Sfila i remi dagli
scalmi e li ripone con calma lungo le fiancate, uno per parte. Riordina le
reti, poi le lenze da palamito. Impila le nasse una sull’altra. Gratta via le
squame incollate sul bordo di dritta, indugiando con l’unghia sul legno cotto
dal sole. Esegue quei gesti meticolosi con l'intento di rinviare
il più possibile il momento in cui sarà costretto a sollevare lo
sguardo, ben sapendo che invece compiuti così, uno dopo l'altro,
non faranno altro che scandire il conto alla rovescia che lo sospingerà inesorabilmente
incontro all’ineluttabile. Difatti, terminato di rassettare lo scafo,
null’altro gli rimane da fare che alzare il capo verso chi lo attende sui legni
dell’approdo immobile come un faro sulla scogliera e, arreso, dire soltanto: Anna; si
trattiene giusto un attimo prima di salutarla con il nomignolo che usavano da ragazzini,
quando si davano appuntamento in quello stesso punto del fiume.
Anna, di rimando, usa una parola soltanto; perché tanto di tutto il resto non può parlare, compreso il fatto di non trovarlo cambiato quasi per nulla nonostante siano passati settant’anni dall’ultima volta, perché ci sono nomi che non si possono più evocare, sorrisi che non si possono spendere, gesti che paiono affondati nella melma come le canne lungo queste sponde. Ma lui è sempre uguale. Questo vorrebbe dirgli, invece spende una parola, una soltanto al posto di mille: ciao, dice.
E nell'intonazione di quel saluto, nell'intenzione, nel modo che ha di inclinare il capo per osservarlo meglio illuminato dalla luce ultima del giorno, ci mette tutto quello che vorrebbe dire, senza riuscirci.
Il suono di quella voce scuote il vecchio, come quando uno strattone improvviso della lenza, per mare, lo strappa alla deriva dei pensieri o al sonnecchiare placido cullato dai raggi del primo sole, appena dopo l’alba. Non avendo più difese da opporle azzarda un’occhiata promettendo a sè stesso una fugacità che però non riesce a mantenere; così si attarda su quel viso per un tempo più lungo di quello che avrebbe voluto concedersi, e si sorprende a lottare per distogliere lo sguardo che invece non vuole proprio saperne di venire via impigliato com'è da qualche, anche se dove non saprebbe dire, in uno zigomo, su una ciocca di capelli, in un sopracciglio, ma lotta, il vecchio e alla fine ci riesce a liberarlo e a rivolgerlo subito altrove, giù in basso, il guizzo di un pesce che si dibatte, sfugge la rete e lesto si rifugia tra le pietre del fondo. Lo assale improvvisa la certezza che nulla e nessuno - non loro due almeno - si sia mai mosso dalla sponda paludosa di quell'ansa di fiume, che per qualche strano fenomeno il passato e il presente, lo spazio e il tempo combacino e coincidano esattamente, come se anni e chilometri si fossero dati convegno nello stesso luogo nel medesimo istante. Sei sempre la stessa di settant'anni fa, non è cambiato nulla, pensa. Lo fa in silenzio, perché trema e sa che la voce lo tradirebbe. Non vuole che lei se ne accorga.
Trema, pensa lei, ha paura che me ne accorga.
- Perché sei solo, Ale? Mi hai sempre detto che non ci si va, da soli, per mare. E’ pericoloso, soli.
Al vecchio torna in mente quella volta in cui, mentre cercavano un posto adatto per pescare, Anna aveva cominciato a cantare, all’improvviso. Quella voce lo aveva commosso fino al pianto e aveva dovuto dare la colpa di quelle lacrime al vento e al sale perché si vergognava, di piangere di bellezza. Ti dicevo che non si può andare soli per portarti con me. Pensa che sarebbe stata questa la risposta giusta da darle. Invece risponde soltanto: - non c’è posto per due persone, su questa vecchia barca. Per questo vado solo. Non c’è più stato posto. Avrebbe voluto aggiungere: dopo di te; ma la voce si incaglia sul fondo roccioso della gola e non c’è verso di strappare quelle parole al fondale scuro in cui sono sprofondate. Recide con una lama di silenzio la cima di fiato che avrebbe potuto riportarle a galla e le abbandona all’abisso, come un’ancora non recuperabile.
Anna gli tende la mano, lo aiuta a montare sul molo.
Nemmeno le tue mani sono cambiate, amore mio, pensano, muti, nello stesso istante.
Si guardano un momento, si dicono soltanto ciao.
Non si vedranno più.
Anna, di rimando, usa una parola soltanto; perché tanto di tutto il resto non può parlare, compreso il fatto di non trovarlo cambiato quasi per nulla nonostante siano passati settant’anni dall’ultima volta, perché ci sono nomi che non si possono più evocare, sorrisi che non si possono spendere, gesti che paiono affondati nella melma come le canne lungo queste sponde. Ma lui è sempre uguale. Questo vorrebbe dirgli, invece spende una parola, una soltanto al posto di mille: ciao, dice.
E nell'intonazione di quel saluto, nell'intenzione, nel modo che ha di inclinare il capo per osservarlo meglio illuminato dalla luce ultima del giorno, ci mette tutto quello che vorrebbe dire, senza riuscirci.
Il suono di quella voce scuote il vecchio, come quando uno strattone improvviso della lenza, per mare, lo strappa alla deriva dei pensieri o al sonnecchiare placido cullato dai raggi del primo sole, appena dopo l’alba. Non avendo più difese da opporle azzarda un’occhiata promettendo a sè stesso una fugacità che però non riesce a mantenere; così si attarda su quel viso per un tempo più lungo di quello che avrebbe voluto concedersi, e si sorprende a lottare per distogliere lo sguardo che invece non vuole proprio saperne di venire via impigliato com'è da qualche, anche se dove non saprebbe dire, in uno zigomo, su una ciocca di capelli, in un sopracciglio, ma lotta, il vecchio e alla fine ci riesce a liberarlo e a rivolgerlo subito altrove, giù in basso, il guizzo di un pesce che si dibatte, sfugge la rete e lesto si rifugia tra le pietre del fondo. Lo assale improvvisa la certezza che nulla e nessuno - non loro due almeno - si sia mai mosso dalla sponda paludosa di quell'ansa di fiume, che per qualche strano fenomeno il passato e il presente, lo spazio e il tempo combacino e coincidano esattamente, come se anni e chilometri si fossero dati convegno nello stesso luogo nel medesimo istante. Sei sempre la stessa di settant'anni fa, non è cambiato nulla, pensa. Lo fa in silenzio, perché trema e sa che la voce lo tradirebbe. Non vuole che lei se ne accorga.
Trema, pensa lei, ha paura che me ne accorga.
- Perché sei solo, Ale? Mi hai sempre detto che non ci si va, da soli, per mare. E’ pericoloso, soli.
Al vecchio torna in mente quella volta in cui, mentre cercavano un posto adatto per pescare, Anna aveva cominciato a cantare, all’improvviso. Quella voce lo aveva commosso fino al pianto e aveva dovuto dare la colpa di quelle lacrime al vento e al sale perché si vergognava, di piangere di bellezza. Ti dicevo che non si può andare soli per portarti con me. Pensa che sarebbe stata questa la risposta giusta da darle. Invece risponde soltanto: - non c’è posto per due persone, su questa vecchia barca. Per questo vado solo. Non c’è più stato posto. Avrebbe voluto aggiungere: dopo di te; ma la voce si incaglia sul fondo roccioso della gola e non c’è verso di strappare quelle parole al fondale scuro in cui sono sprofondate. Recide con una lama di silenzio la cima di fiato che avrebbe potuto riportarle a galla e le abbandona all’abisso, come un’ancora non recuperabile.
Anna gli tende la mano, lo aiuta a montare sul molo.
Nemmeno le tue mani sono cambiate, amore mio, pensano, muti, nello stesso istante.
Si guardano un momento, si dicono soltanto ciao.
Non si vedranno più.